Una recente indagine SWG per Confindustria immobiliare ha rilevato che tra tutti i proprietari solo il 49% è a conoscenza della classe energetica della propria unità immobiliare, una percentuale che scende drammaticamente al 16% se si prendono in considerazione gli affittuari (che pur pagano le bollette). Una sostanziale mancanza di attenzione che la dice lunga sull’attenzione che la gente comune ha finora posto al tema dei fabbisogni energetici, ma che con i recenti rincari e le norme sui bonus e superbonus sta rapidamente cambiando, al punto che molti, forse per la prima volta, si sono interrogati sulla classe energetica del proprio appartamento e nel farlo sono incappati in una sigla misteriosa: l’APE.
L’APE non c’entra nulla con la pratica dell’apicoltura e con il miele, è viceversa l’acronimo di “Attestato di Prestazione Energetica” ed è un documento introdotto nel 2006 e reso obbligatorio per poter avviare qualsiasi procedura di vendita o di affitto di un immobile, con lo scopo di fornire ai contraenti informazioni sul fabbisogno energetico di ciò che stanno comprando o affittando e di incentivare processi di adeguamento impiantistico volti al risparmio di energia.
Il funzionamento dell’APE è relativamente semplice per gli utenti finali, dal momento che assomiglia in tutto e per tutto alle classi energetiche degli elettrodomestici, a cui siamo tutti abituati. In base alla quantità di energia che viene consumata in condizioni di uso standard dall’unità abitativa. Il metodo di calcolo, standardizzato nel 2015, consente infatti una classificazione che va dalla lettera G, per gli immobili meno efficienti, fino alla classe A4, che corrisponde a quelli più performanti.
L’APE è indispensabile in numerosi casi, i più comuni dei quali sono, come si diceva, le procedure di acquisto o di affitto di un immobile; la stipula di contratti di locazione; il trasferimento di un immobile a titolo gratuito; la pubblicazione di annunci per la vendita di un immobile; la realizzazione di lavori di ristrutturazione che modifichino oltre un quarto della superficie dell’immobile e, infine, l’accesso ad interventi di riqualificazione energetica usufruendo delle agevolazioni fiscali.
L’APE viene redatto e rilasciato da esperti qualificati e indipendenti, che attestano le prestazioni energetiche di un edificio attraverso l’utilizzo di specifiche misurazioni riportate in formulari standard. Tali esperti sono esclusivamente tecnici specializzati accreditati dalle Regioni che hanno superato uno specifico esame di abilitazione e, generalmente, si tratta di geometri, ingegneri o architetti. Il rilascio del certificato deve avvenire solo a seguito di un adeguato sopralluogo e non sulla sola base di dati documentali, pur necessari. Nella valutazione, infatti, rientrano numerosi parametri tra i quali i più rilevanti sono la qualità degli infissi; l’efficienza energetica legata ai consumi e agli impianti di riscaldamento-raffrescamento, l’esistenza o meno di impianti di autoproduzione di energia attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili, la presenza di impianti energivori e infine la salubrità degli ambienti interni.
La certificazione rilasciata dal tecnico contiene alcune informazioni fondamentali, ovvero:
– l’indice di prestazione energetica globale, sia in termini di energia primaria totale che in termini di
energia non rinnovabile;
– la classe energetica dell’edificio;
– la qualità energetica dell’immobile, come, per esempio, gli indici di prestazione termica utile per la
climatizzazione invernale;
– le emissioni di anidride carbonica;
– l’elenco dei servizi energetici con le relative efficienze;
– eventuali interventi di miglioramento energetico dell’immobile.
Una cosa da sottolineare e che ben pochi sanno è che la validità del certificato APE è di dieci anni, trascorsi i quali, nei casi in cui il suo utilizzo si renda necessario, deve essere rifatta.
Ma all’utente finale cosa testimonia l’APE? In primis l’efficienza energetica dell’immobile e, indirettamente la sua qualità, da cui ne consegue anche il suo valore.
Per fare solo un esempio, un appartamento in classe G ha costi energetici attesi tra cinque e dieci volte superiori a quelli di un appartamento delle stesse dimensioni in classe A, cosa che inevitabilmente incide sul prezzo di vendita e anche sul valore dell’affitto. Lo scarto percentuale tra il prezzo delle case in classe A rispetto alla B, C e D è attualmente attorno al 20%, mentre tra quelle a media efficienza e quelle a bassa efficienza la forbice supera già il 30%.
La recente direttiva della Comunità Europea sulle case green, che spinge in modo molto deciso verso la decarbonizzazione del comparto immobiliare, promette di aumentare ulteriormente questo divario e di portare progressivamente ad un forte deprezzamento degli immobili più energivori, inserendo nel processo di valutazione anche elementi come l’uso e la manutenzione degli impianti e, quindi, a tutti gli effetti i sistemi di building automation.
Va da sé, infatti, che agire in modo “intelligente o SMART” sui propri immobili al fine di migliorarne le prestazioni energetiche, probabilmente, rappresenterà presto il modo più semplice ed economico per migliorarne la classe energetica, evitando interventi invasivi e molto costosi (quali sono gli isolamenti termici, la sostituzione degli infissi o la coibentazione dei tetti), e agendo sulle tecnologie che permettono di gestire i propri impianti in modo più intelligente attraverso sistemi domotici che ormai non hanno praticamente nessun impatto fisico sull’immobile, diventando così del tutto evidente anche ai profani, che i sistemi di building automation o BACS, sono le tecnologie con il ritorno dell’investimento (ROI) più breve attualmente sul mercato al netto degli incentivi statali rispetto a quelli più invasivi come le coibentazioni delle superfici disperdenti e gli infissi.